lpr.com
  • Silverstein-This-Is-How-The-Wind-ShiftsSettima fatica per i canadesi Silverstein, che tornano con un disco particolare, quasi sperimentale: “This is how the wind shifts” non possiamo definirlo come un vero e proprio concept album che sviluppa una storia dall’inizio alla fine; possiamo parlare piuttosto di un disco in cui vengono narrate situazioni viste da diverse prospettive.

    Shane Told (voce) descrive in questo modo la preparazione del disco: “L’idea che sta dietro a quest’album è come la vita di una persona possa cambiare per sempre anche solo per un singolo avvenimento che succede. Un po’ come quando pensiamo -cosa sarebbe successo se?-“.

    Lo stile di questo album rispecchia tutto ciò che sono stati i Silverstein in questi 13 anni di attività: voci melodiche in alternanza constante a parti in scream e chitarre dolci e avvolgenti alternate a breakdown taglienti ed accattivanti (accompagnati da una batteria sempre in singolo pedale, marchio di fabbrica della band).

    I tre brani in apertura “Stand amid the roar”, “One brave mountains we conquer” e “Massachusetts” risultano essere sicuramente i più completi e i più propensi ad essere ricordati dal pubblico dopo pochi ascolti; nella seconda parte del disco risultano essere degni di nota brani come “In silent seas we drown” e “With second chances”, che ricordano molto i primi Silverstein con sonorità più grezze e hardcore.

    Non condivido la scelta della band di alternare brani lunghi (3 minuti e 30 di media) a brani, passatemi il termine, “di preparazione” molto brevi (circa 1 minuto).

    Valutazione: 7/10

    Poletti Thomas

    www.silversteinmusic.com/

    foto by R.Magli live at Land Of Live – Legnano – MI

  • 10888557_807960792593775_3860936252431761516_nSeconda band britannica a firmare per Fearless Records dopo i connazionali As It Is, gli Oceans Ate Alaska giungono con la label americana alla sudata pubblicazione del full length di debutto dopo un paio di Ep non esattamente esaltanti all’insegna di un death/metalcore violento quanto bastava ma piuttosto tentennante sul fronte dell’esecuzione: in particolare da bocciare erano le voci “pulite” del cantante James Harrison, che a tre anni circa di distanza pare tuttavia approdato ad una maggiore padronanza della tecnica; stesso discorso per il resto del combo di Birmingham, che pur non lasciandosi alle spalle in sede strumentale quantità mastodontiche di breakdown e mid-tempos (con un inevitabile abuso di tali soluzioni come oramai tipico del genere), dimostra una più che discreta attenzione sia per il comparto ritmico che chitarristico. Il sound è vicino al cosidetto “djent” mescolato a decise influenze di melodic metalcore, che evolutosi a partire dalla lezione fondamentale di “Meshuggiana” memoria attraverso band come Born Of Osiris e Veil Of Maya giunge alla sua attuale forma: tempi dispari come se piovesse, ritmiche sghembe e sincopate, breakdown in (sovr)abbondanza e alternanza growl/high scream e voci melodiche. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole mezzo spento del “core” planetario, dove uscire dal seminato di coordinate musicali di per sè scontate pare diventato pressochè impossibile: se dunque l’originalità non può in alcun modo essere una prerogativa, aggresività e potenza sonora diventano armi da affilare e sfoderare necessariamente.

    Riconoscendo al quintetto inglese una più che buona volontà sotto questo punto di vista,va detto che in questo debutto non tutto funziona alla perfezione: se infatti si può soprassedere sull’effetto di “già sentito” tipico dei generi citati in precedenza, difficile non storcere il naso con pezzi come “Floorboards”, dove il clean non esattamente esaltante lega davvero male con il resto della canzone. Va meglio nel terzo singolo estratto “Vultures & Sharks”,davvero pezzo migliore della proposta in grado di catalizzare l’attenzione con un ritornello vincente e un lavoro in sede di chitarre di non poco conto. Il risultato finale è dunque colmo di spunti interessanti sul versante tecnico, in grado di delineare in maniera piuttosto matura un paesaggio musicale dove si sommano infulenze differenti: “High Horse” è una scheggia impazzita di technical death, metal/hardcore e math più ambientale e lega perfettamente col resto di un platter che, pur non facendo gridare al miracolo e accusando una certa ripetitivtà di fondo, non suona come l’ennesimo rip off di tante, troppe bands post-hc. In fondo,al giorno d’oggi, non è affatto poco.

    Voto: 7/10

    Antonio Margiotta

    www.oceansatealska.com

    album full length metalcore Oceans Ate Alaska
  • In-Flames-Rusted-Nail-coverPrimo singolo in uscita per gli In Flames, band svedese reduce dalle fatiche in studio per la produzione di Siren Charms (in uscita a settembre).

    Rusted Nail è il primo estratto, lanciato nei primi giorni di giugno per incuriosire il pubblico e renderli parteci di ciò che potrà contenere il nuovo album. Al primo ascolto le sonorità che emergono ricordano molto l’ultimo (e poco amato) cd “Sounds of a Playground Fading”, l’impatto sonoro è pressoché identico caratterizzato da una sessione ritmica “morbida” ma ben curata. La voce di Anders alterna puliti a pezzi urlati (un pò alla vecchia maniera) facendo però trasparire la prima linea rispetto alle 2 (i ritornelli ripetuti sono decisamente melodici). La produzione sembra abbracciare sonorità “industrial” con distorti personali e una batteria triggerata con campionature ed effetti molto particolari. La cosa positiva che traspare è comunque una buonissima qualità della canzone proposta e questo fa ben sperare in un album migliore rispetto al suo predecessore.

    Restiamo in attesa del 9 settembre 2014…”Siren Charms” is coming soon.

     

     

  • wSBFRBuDopo varie vicissitudini legali tra la band e Victory Records, ecco che “Common Courtesy” vede la luce del sole (per ora solo in forma digitale), dopo essere restato al buio sullo scaffale di casa A Day To Remember per qualche mese; giunti al quinto album, i ragazzi di Ocala riescono, per l’ennesima volta, a centrare in pieno il bersaglio.

    Si parte subito in quinta: “City Of Ocala” e “Right Back At It Again” sono due bombe in pieno stile pop-punk, praticamente prive di breakdown e dal tasso melodico elevatissimo…inizio impeccabile, che si piazza in tempo zero nella mente dell’ascoltatore. Un cambiamento sostanziale quindi, un passaggio definitivo al pop-punk? Assolutamente no, e lo confermano le successive “Sometimes You’re The Hammer, Sometimes You’re The Nail” e “Dead And Buried”, che insieme alle varie “Life Lessons Learned the Hard Way” e “Violence” ricordano a tutti che la vena metal o hardcore che sia, è rimasta comunque presente. “Best Of Me” e “Life @ 11” fan tornare alla mente “What Separates Me From You”, così come “The Document Speaks For Itself” sembra essere un brano direttamente estratto da “For Those Who Have Heart”; non è finita qui, c’è spazio anche per le ballad, che rimangono completamente acustiche, vedi “I’m Already Gone” (fantastica!) oppure vedono il resto della band aggregarsi a Mr McKinnon, come in “I Surrender” e “I Remember”

    Gli A Day To Remember mi ricordano lo sceriffo degli ormai datati film western, che compare e detta la legge: la band, ormai sulla cresta dell’onda da parecchi anni, riesce, ancora, a tornare ed imporre i canoni di un genere dai limiti ormai alquanto permeabili. Non ne sbagliano uno.

    Voto: 8,5/10

    Thomas Poletti

    www.adtr.com

    A Day to Remember florida For Those Who Have Heart metal ocala pop-punk post hardcore
  • 1475967_637029649676347_290637333_nSi torna a parlare di band emergenti della nostra penisola e lo facciamo stavolta con i Secondchance, freschi d’esordio con questo “One By One”, ep di 5 tracce all’insegna di un hard-rock di stampo piuttosto classico uscito poco più di un mese fa sulle principali piattaforme digitali.

    A partire dall’apertura (affidata a “The End”) è lampante quale sia la proposta dei nostri: un rock melodico e dal riffing deciso, a metà tra influenze anni ‘80 e sonorità più recenti (Nickelback, Foo Fighters e Alter Bridge su tutti). Niente dunque di particolarmente eclatante o rivoluzionario, ma va riconosciuto che, pur trattandosi di un’opera prima, la qualità del lavoro si assesta su un buon livello, con una produzione degna e una discreta prova tecnica. “Hold On” rimane forse una delle tracce migliori grazie alle chitarre aggressive e alle ritmiche incalzanti, mentre non convince del tutto la successiva “Home”, ballad ad alto tasso melodico che pur costituendo un’ ottima prova per il vocalist Jacopo Grazioli risulta un pò stucchevole e fuori posto a livello di song writing. Si ritorna alle atmosfere precedenti con “Nothing But A Lie”, con un classico assolo in stile hard-rock in chiusura e che lascia infine il posto alla conclusiva “Silence Calls”: brano che parte lento e con una buona atmosfera, dove a colpire è in particolare il lavoro in sede di chitarre, in grado di dialogare perfettamente con la parte cantata dando vita ad un brano omogeneo e convincente.

    Nella sua breve durata questo “One By One” si presenta quindi come un lavoro ancora acerbo sotto differenti punti di vista, primo fra tutti un impianto piuttosto tradizionale e un poco derivativo: non è certo facile al giorno d’oggi “dire la propria” in un genere dalla vita pluri-decennale come l’hard-rock di matrice statunitense, ma forse un pizzico di aggressività in più potrebbe conferire ai prossimi pezzi il giusto tiro, senza tuttavia rinunciare a quella buona dose di melodia messa in mostra con pezzi come la già citata traccia di chiusura, dove emergono tutte le coloriture vocali di un cantante capace di ben interpretare i pezzi. Promossi sulla fiducia.

    Voto: 6/10

    Antonio Margiotta

    www.facebook.com/2ndchancerock

    One By One rock Secondchance
  • 10154343_10152308029348480_892660243_nEcco finalmente arrivare l’atteso seguito di “Has Already Past”, disco che mi aveva fatto conoscere i genovesi 1000 Degrees, pazzi furiosi fan di ritmi demoniaci e tapping a non finire: l’appena citato lavoro mi aveva davvero colpito, lasciandomi in attesa di una riconferma, giunta con questo “Back To A New Way”, distante circa due anni e mezzo dal suo predecessore. Pazzi furiosi non solo sotto l’aspetto musicale, ma anche sotto quello della performance: le due cose che mi rimasero in mente dopo una loro data milanese furono il cantante on stage a piedi nudi e il chitarrista che suona la maggior parte del concerto con gli attributi di fuori (e non intendo con grinta e decisione).

    Di tempo ne è passato parecchio, ed il suono della band mi giunge abbastanza cambiato: “Back To A New Way” suona maturo e la mia impressione è che, in fase compositiva, sia stato ponderato sicuramente molto più del precedente lavoro, che sembrava scritto “di getto”. I tratti distintivi della band sono comunque i soliti, già detti precedentemente: batteria e chitarre pazze fanno da contorno alla voce principale graffiante, affiancata dalle seconde voci più clean e melodiche; gli stacchi inconsueti all’interno delle canzoni colgono spesso di sorpresa, risultando essere comunque ben strutturati e piuttosto tecnici. Mettiamola così: “Back To A New Way” non vede l’emergere di hit come le passate “Orso Grigen” o “My Ex-Girlfriend Is So Hot”, ma suona più compatto e con meno picchi. Di ottime canzoni ce ne sono, su tutte “Back To A New Way”, “The Tallest Tree Around”, “Instead Of” e “Downhill”, che tra tutte è quella più vicina al passato dei quattro.

    Un buon lavoro che sicuramente richiederà al pubblico più di una manciata di ascolti per essere capito ed apprezzato, ma che riuscirà ad avere la giusta comprensione da parte di chi segue i nostri da qualche tempo.

    Voto: 7/10

    Thomas Poletti

    www.facebook.com/1000degreesmusic

    1000 degrees back to a new way hardcore Italy
  • falloutboysaveE’ passato solamente qualche mese da quando i quattro dell’ Illinois hanno annunciato la “reunion” (non c’è mai stato un vero e proprio scioglimento in realtà, quanto più una serie di progetti personali portati avanti dai vari membri)…nuovo disco, nuovo tour, nuovi obiettivi, uno su tutti salvare il rock and roll. Capite bene che, per quanto una band sia amata e osannata da milioni di fan, risulta piuttosto difficile centrare un simil fine, anche se ti chiami Fall Out Boy e anche se hai fatto faville in campo pop-punk nel primo decennio degli anni 2000.


    Aspettarsi un disco sulla falsa riga di “Take this to your grave” o di “From under the cork tree” sarebbe stato da incoscienti e irrealisti; aspettarsi qualcosa di molto simile a “Folie à deux” sarebbe stato legittimo. In entrambi i casi rimarrete comunque delusi da questo “Save rock and roll”, in quanto i nostri han totalmente cambiato target: sound ultra-pop (per rendervi conto prestate attenzione ai suoni della batteria e poi capirete la mia affermazione) e collaborazioni al limite dell’incredibile (Elton John e Big Sean su tutti) creano un disco in cui di Fall Out Boy c’è davvero poco, per usare un largo, ma veramente largo, giro di parole. Per quanto riguarda i brani contenuti, quelli che spiccano al primo ascolto sono i due singoli estratti, ovvero “The phoenix” e “Light em up”, seguiti da “Rat a tat” in cui è presente la voce della signora Courtney Love.

    Se in copertina avessimo trovato solamente il faccione del buon Patrick Stump e l’intento fosse stato dichiaratamente quello di fare un lavoro puramente pop, “Save rock and roll” avrebbe raggiunto tranquillamente la sufficienza; purtroppo sul disco troviamo stampato il nome “Fall Out Boy”, e l’intento era quello di salvare il rock and roll…fate voi.

    Voto: 4.5/10

    Thomas Poletti

    http://www.falloutboy.com

    Courtney Love Elton John Fall Out Boy Patrick Stump Take This to Your Grave
  • Avenged-Sevenfold-Hail-to-the-KingCriticato. Sono piuttosto sicuro che, se esistesse un premio del genere, “Hail To The King” lo vincerebbe a mani basse. Gli Avenged Sevenfold pubblicano la loro settima fatica e, molto probabilmente, lo fanno sollevando un discreto polverone di critiche, polemiche e discussioni: l’intero lavoro infatti intraprende una strada piuttosto diversa rispetto ai lavori precedenti, andando a proporre pezzi in pieno stile heavy metal, con riffoni martellanti “alla Metallica” e parti ritmiche ben diverse da quelle proposte dal compianto Jimmy Sullivan.

    Le tracce in apertura “Shepherd Of Fire” e “Hail To The King” (di cui è già stato pubblicato un video) sono ottime: riff molto pesanti e ritornelli dalla facile memorizzazione confezionano un inizio degno di nota. “Requiem” e “Crimson Day” si fanno notare l’una per l’intro in stile canto gregoriano, ripreso nel corso del pezzo ed amalgamato perfettamente alla melodia, l’altra per riportare alla mente, non solo grazie all’assolo, atmosfere “NovemberRainiane”, che si avvicinano agli Avenged Sevenfold di “Seize The Day”. Con “Coming Home” i ritmi si fanno più incalzanti, a tratti inquietanti: la traccia risulta essere la più simile ai lavori precedenti, sia per quanto riguarda le parti vocali che per gli assoli di chitarra (mai banali, sempre di una cera durata!). La conclusione del disco risulta invece piuttosto noiosa, con “Planets” e “Acid Rain” che smorzano i toni, non riuscendo ad incidere più del dovuto.

    La comprensione di “Hail To The King” sarà piuttosto difficile per i fan di vecchia data dei cinque di Huntington Beach (sottoscritto compreso) e richiederà sicuramente un buon numero di ascolti per essere valutato al meglio; personalmente lo vedo come il diretto erede di “Avenged Sevenfold” più che di “Nightmare”: un buon lavoro comunque, certamente diverso, ma pur sempre di pregevole fattura.
    Un cambio di direzione netto ma pur sempre lecito. Sperando che i fan capiscano.

    Voto: 7/10

    Thomas Poletti

    www.avengedsevenfold.com

    Avenged Sevenfold Hail to the King Huntington Beach California metal
  • Torna la rubrica “Guest Review(s)” con la recensione fatta da Stefano Russo, bassista della rock band Andead.

    THE_STRYPES_SNAPSHOT_PACKSHOT_1500x1500_RGBSe ad una prima occhiata possono sembrare dei cloni dei One Direction che si divertono a vestirsi come Paul Weller, questa new sensation del mainstream rock riserva però diverse sorprese una volta schiacciato il tasto play. Questo quartetto di adolescenti irlandesi snocciola in poco più di 35 minuti una dozzina di brani che pescano a piene mani dall’R&B targato UK tanto caro a Stones, Yardbirds e a tutta una serie di band che, se siete loro coetanei, è già un miracolo abbiate sentito nominare. Certo, il fatto che facciano parte di una generazione già ampiamente influenzata da internet (leggasi youtube, social network e, probabilmente, anche porno free di facile reperibilità) ha il suo peso e dà al disco un alone generale che, a seconda delle orecchie di chi ascolta, può suonare come una piacevole rinfrescata o, al contrario, una terribile poserata. La verità è che, in fondo, il disco è pieno zeppo di rock’n’roll di discreta, se non buona, fattura e si fa ascoltare molto volentieri. I pezzi posseggono quel mix di stile retrò e innocenza giovanile che potete disprezzare o addirittura odiare solo se siete presi male dalla vita e dei gran rompicoglioni di natura. Se poi saranno davvero la next big thing del rock, chi può dirlo. Di sicuro, preferirei vedere uno stadio sold out per i The Strypes.

    Voto: 7/10

    Stefano Russo

    www.thestrypes.com

    rock snapshot the strypes uk
  • destrage-coverGrande attesa per questo terzo full length dei milanesi Destrage, alle prese con il successore di quel “The King Is Fat ‘N Old” che tanto ci era piaciuto e che li ha eretti a veri e propri paladini di un metal moderno fatto di tecnica ed innovazione. Come si sa la riconferma di un disco che ha riscosso tanto successo è sempre un arduo compito, in grado di scatenare curiosità ed interesse tra i fan…ecco, aggiungeteci la firma di un contratto con una delle etichette più famose al mondo nel settore, la californiana Metal Blade Records, e capirete il perchè di tutto questo fermento per “Are You Kidding Me? No.”

    L’inizio è un vero e proprio gancio che colpisce l’ascoltatore: “Destroy Create Transform Sublimate” cattura per la cascata di note iniziale subito raggiunta da chitarre graffianti, per sfociare poi in un ottimo ritornello che va a riprendere le quattro parole che danno nome al pezzo. “Purania” è un pezzo che già conosco, essendo stato rilasciato un video ufficiale (che mi ricorda molto “V per Vendetta”) qualche settimana prima dell’uscita dell’album: l’essenzialità delle chitarre iniziali va a creare un pezzo di facile presa ma non banale, che fa cantare “So What?” ad ogni ritornello…occhio alle parti di tromba che torneranno nella parte conclusiva del lavoro. E’ il turno di “My Green Neighbour”, il pezzo che apprezzo maggiormente, forse il più “divertente” ed in grado di combinare alla perfezione parti completamente pazze ed altre più rock/heavy. E’ forse il brano che mi ricorda maggiormente “The King Is Fat ‘N Old”, insieme alla pseudo-ballad “Where The Things Have No Colour”, che suona molto “Neverending Mary”. Il pezzo che mi convince meno è “- (Obedience)”, forse poco incisivo o forse richiedente qualche ascolto in più per essere apprezzato; molto buone risultano invece “Hosts, Rifles & Coke” e “Before, After And All Around”, che riescono soprattutto grazie ai ritornelli a dare il giusto tiro all’insieme. La title track va a concludere l’album: una cavalcata di quasi 8 minuti (si, 8 minuti!) che fila liscia senza intoppi e che a parer mio riassume l’essenza della band.

    I Destrage sono l’esempio a noi più vicino di come tecnica, estro, innovazione e dedizione possano un giorno dare i propri frutti…e che frutti mi vien da dire; tecnicamente parlando “AYKM?N.” (una delle abbreviazioni più strane che abbia mai visto) propone episodi fuori di testa, che sicuramente portano la maggior parte dei musicisti-ascoltatori a chiedersi “Cosa è appena successo in questo pezzo?”, fusi con altri decisamente catchy e di più facile ascolto. Un genere d’elìte sdoganato e reso più accessibile anche a gente non dedita alla questione: sarà ora l’imminente futuro a dirci quale sarà la reazione del pubblico alla pazza furia dei cinque milanesi.

    Voto: 8/10

    Thomas Poletti

    www.facebook.com/destrage

    "Milano" Are You Kidding Me? No. destrage Italy metal metal blade
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Live report – Bury Tomorrow + Chunk! No, Captain Chunk! – Honky Tonky

  • 15/04/2014
  • di thomaspoletti
  • · LIVE REPORTS

Honky Tonky, Seregno, una tiepida serata d’aprile. Sembrerebbe l’inizio di una puntata di “Blu notte”, invece parliamo di un concerto: va in scena il tanto atteso ritorno dei francesi Chunk! No, Captain Chunk!, visti sul suolo italico ormai parecchio tempo fa, prima del salto che li ha portati a sbarcare oltre oceano e a farsi amare dai pop-punk kids di tutto il mondo. In realtà la data “non è loro”, nel senso che gli headliner saranno i Bury Tomorrow, band metalcore inglese sicuramente non troppo blasonata e pressochè mai affiancata ai grandi nomi di quella scena. Ad aprire due band italiane, The Compromise, completamente mancati a causa della non brillante organizzazione nel gestire gli ingressi da parte del locale, e i For Those Afraid.

Entro e la loro esibizione è appena iniziata: batteria tirata e chitarre e basso molto compatte caratterizzano il loro hardcore melodico, che riscuote un buon consenso da parte del pubblico, partecipe sin dalle prime battute e pronto a supportare la band quasi locale, che suona i pezzi tratti dal proprio esordio “If You Must Be A Bear Be A Grizzly”

Una ventina di minuti circa di esibizione e salgono sul palco i quattro francesi: si, quattro, ne manca uno. Voci di corridoio dicono che il bassista si sia infortunato, mandando quindi uno dei due chitarristi al basso e spiegando la leggera mancanza sonora che giunge alle mie orecchie durante l’esibizione. Pronti, via. Si parte con “Restart”, completamente bruciata dai suoni assolutamente sballati, che vedono cassa e rullante al massimo e il resto degli strumenti al minimo. Qualche minuto per bilanciare ed ecco arrivare un muro sonoro accettabile: loro sono precisi nel suonare (arduo lavoro, comunque ben svolto, per l’unico chitarrista) e carichi a dovere…ed il pubblico impazzisce, cantando tutti i pezzi e popolando il palco, tra manie di protagonismo e stage diving. Tra una frase in italiano e l’altra (scritte per bene su un foglietto) vengono proposti per lo più i pezzi dell’ultimo lavoro “Pardon My French”, tra cui “Taking Chances”, “Bipolar Mind” e “I Am Nothing Like You”, oltre alla recentissima cover “All Star” e l’immancabile chiusura con “In Friends We Trust”. Un buon live quindi, leggermente macchiato dall’inizio sporco ma che alle orecchie dei ragazzi sotto il palco sarà passato sicuramente inosservato, come del resto è giusto che sia.

E’ ora il turno dei Bury Tomorrow. Non conosco la band e non mi sono documentato su di loro, quindi vado alla cieca. Si inizia, e ciò che arriva è una vera e propria manata in faccia: suoni perfetti, carica a non finire e tecnica non indifferente vanno a comporre un metalcore moderno che vede urlare il frontman dall’inizio alla fine del live, a tratti aiutato dalla voce pulita, bellissima, del chitarrista; breakdown in notevole quantità fanno da condimento a pezzi molto elaborati e mai banali, qualità rara direi. La band mette in scena un ottimo show, ma il pubblico non è troppo dalla loro parte, e questo dispiace: come da copione la maggior parte dei presenti non prende nemmeno in considerazione il fatto di sentire come sia “l’altra band”, forse perchè troppo occupati a raccontarsi di quanto siano stati sul palco ad incitare la folla o a scattare delle selfie. E per quanto quella appena trascorsa sia stata una bella serata, questo lascia un po’ l’amaro in bocca.

Thomas Poletti

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Foto by R.Magli


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"Honky Tonky" bury tomorrow chunk no captain chunk for those afraid live the compromise
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  1. 国内即発 男性 カバン 01/11/2015 · Rispondi

    うわー、素晴らしい ウェブサイト。のthnx …
    国内即発 男性 カバン http://metzgerei-zimmermann.de

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